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L'azione di chiarimento del magistrato ordinario concernente il risarcimento cui ci si riferisce nella disposizione civilistica “riguarda soltanto i costi spesi dall’esecutore in stretta soggezione all'osservanza dei propri oneri” , ha spinto il legislatore a surrogare l’espressione “ a causa” con la frase “in occasione della funzione” ossia indicativa del pericolo connesso allo svolgimento della stessa.

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Se dopo l’azione di attuazione della funzione vi siano le prerogative per attivare un'azione di tipo penale rispetto all’esecutore che, a sua volta, per attuare il diritto di difendersi ha pagato costi legali per cui si richiede il risarcimento ex art. 1720 c.c. tanto che l'atto penale sarebbe motivato ed il responsabile- colpevole punito in fase finale del processo penale, non essendo incluso l’illecito compiuto nel contenimento della delega concessa ex artt. 1343 e 1418 c.c., il caso per cui si scrive non sarebbe giustificabile; allo stesso modo se l’esecutore -accusato venisse assolto.

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In tutti e due i casi in esame verrebbe meno il legame causale obbligatorio e diretto tra l'osservanza dell’incarico e la sanzione pecuniaria connessa per cui la domanda di risarcimento fatta dall’esecutore, non sarà accolta.

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In forza dei casi analizzati, gli indirizzi giurisprudenziali sono orientati ad ammettere il risarcimento dei costi legali solo se sia stato emesso un verdetto conclusivo di liberazione piena per tutti gli illeciti, che per un illecito vi sia stato l'annullamento per prescrizione, che a carico del funzionario sia estromessa qualsiasi tipologia di responsabilità nonché eventuale conflitto di interesse con l'organo di adesione per cui si è operato.

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In via preventiva, l’autore afferma che le motivazioni di discolpa del fatto sono delle circostanze in presenza delle quali un atto che, in altri casi, dovrebbe essere ritenuto illegittimo, diventa legale proprio perché una disposizione giuridica della normativa la rende possibile o, addirittura, la prescrive.

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In tale chiaro quadro, si immette l'articolo 1, comma 9, della legge n. 94/2009 che ha introdotto nel Codice penale l'articolo 393 – bis (motivazione di non perseguibilità). In breve il testo della disposizione immette così una generica motivazione di non perseguibilità tanto che a causa di tale esentante l'esecutore della lesione non sarà perseguibile se il Pubblico Ufficiale o l'addetto a una pubblica funzione, o il pubblico funzionario, abbia esagerato con azioni arbitrarie, non legittimati i limiti (margini) delle proprie mansioni, in tal modo provocando il fatto oggetto degli articoli cui si ispira la disposizione.

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La suddetta motivazione di non perseguibilità era già attesa nel Codice penale Zanardelli (artt. 192 e 199) per essere, poi, abolita dalla legge fascista ed essere, in seguito, re- immessa nella normativa penale, proprio dall'art. 4, d.l.lgt. 14 settembre 1944, n. 288.

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Quindi, l’autore sottolinea che le motivazioni di discolpa sono delle “varianti storiche”, con cui lo sviluppo delle trasformazioni sociali si connette al diritto penale e smuove, a seconda dei differenti sistemi giuridici, i confini del reato.

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Pertanto, la disposizione dell'articolo analizzato afferma quanto segue: “Non si attuano le prescrizioni degli articoli 336, 337, 338, 339, 341 bis, 342 e 343 se il pubblico ufficiale o l'addetto a una pubblica funzione o il pubblico dipendente abbiano provocato il fatto previsto negli stessi articoli, superando con azioni arbitrarie le limitazioni delle sue assegnazioni”.

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La neo immessa disposizione del codice presume chiaramente che il pubblico ufficiale superi i margini delle sue funzioni, commettendo un’azione o degli atti che non si basano più sull'interesse collettivo e che si pongono in chiara contrapposizione anche con la regola del corretto svolgimento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione).

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