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IL PROFITTO INGIUSTO: Per ciò che concerne siffatto elemento, la sua indagine può evidenziare delle difficoltà, ma di poca considerazione, difatti è del tutto legittimo presumere che la responsabile abbia adottato un simile comportamento allo scopo di ricavarne una qualche forma di interesse (morale, materiale o ambedue), soltanto che l’interesse in siffatta tipologia fraudatoria, si evidenzia con minore immediatezza rispetto alle solite truffe.
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È nostra abitudine vedere il truffatore che inganna il truffato affinché quest’ultimo elargisca risorse finanziarie dalle proprie casse alle sue, sicché in quasi tutte le circostanze possiamo evidenziare che ad un impoverimento della vittima, viene ad associarsi pure una locupletazione del malvivente, a causa di una disposizione patrimoniale da parte del soggetto ingannato.
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Nella tipologia in questione, ad un’indagine molto superficiale, siffatta relazione tra profitto e danno non pare configurarsi e questo se si parte dal danno economico palese, per arrivare al profitto della responsabile, considerato che l’obbligo a vita di provvedere al mantenimento del figlio, che si presenta in seno al truffato come prescritto a livello normativo, potrebbe non considerarsi elemento di ingiusta locupletazione per la madre, visto che il denaro, che con la frode proverrà per sempre dalla vittima a vantaggio del figlio non voluto, non provvederà ad arricchirla in maniera diretta: ma la questione non si può analizzare in questo modo.
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L’interesse voluto dalla rea sta al di fuori dallo standard abituale; il danno a livello economico, ovvero l’obbligo a vita che nasce, a causa del suo comportamento, in seno al partner, che di norma è soltanto una porzione del profitto desiderato, e nella circostanza di non realizzazione di quanto programmato dalla responsabile, sarà l’unica parte di danno che questa riuscirà ad imporre alla propria vittima.
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Il piano locupletativo generico, che fallisce nella circostanza in cui il partner non accolga il “consolidamento” della relazione, non sempre è calcolato per dare risultati in pochissimo tempo, ma prescrive tuttavia un trasferimento definitivo di ricchezza dal truffato alla donna.
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Le conseguenze economiche che obbligatoriamente si presenteranno a seguito del comportamento attuato nel corso dell’evento dall’agente, di sicuro, sono dalla medesima calcolate in maniera preventiva e precisa ed accolte, prima di procedere con quanto programmato:
dunque possiamo semplicemente dire che la donna ha voluto conseguire un interesse economico ovvero quello di migliorare la propria circostanza socio-economica (standard di vita), ottenendo siffatto profitto dal reddito del truffato, del quale intende servirsene fino a quando le converrà, considerato che, nelle sue valutazioni, questi cercherà di riparare all’ “inconveniente”.
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Per analizzare meglio l’argomento, è fondamentale evidenziare e analizzare un caso fondato su tale tipologia e di cui sono a conoscenza, senza pretendere di essere completi, ma che penso possa illuminare circa lo scopo per il quale una donna può evidenziare un simile comportamento a scapito del suo partner.
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Una donna può tentare di indurre un partner ad una paternità imposta per: 1) conseguire una locupletazione del tutto materiale come, per esempio, la possibilità di rimanere nel paese e ottenerne la cittadinanza o anche restare a vivere in maniera gratuita nella dimora di convivenza insieme al minorenne fino al diciottesimo anno di età: in siffatte circostanze la possibilità “riparatoria” (ad un danno non cagionato), da parte della vittima, è in effetti di poco valore per l’agente;
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usufruire della possibilità di un mantenimento a vita o, tuttavia, conseguire una stabilità economica parassitaria, come conseguenza del previsto consolidamento riparatore; 3) forzare il matrimonio, pure “formale” (stimulum ad nuptias), della relazione preesistente (migliorando in tal modo il proprio livello di vita); 4) “affrancarsi” dalla famiglia, cambiando del tutto le proprie abitudini di vita, con lo scopo primario di non essere più soggetto alle regole ed alla dipendenza economica derivante dalla convivenza con la famiglia;
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voler mettere in atto una vendetta o ottenere una soddisfazione morale come, per esempio, nella prima ipotesi prevedendo questa tipologia di truffa-violenza contro l’(ex) amato che vuole mettere fine alla relazione, allo scopo di danneggiare lui ( a livello sociale e finanziario) e la sua famiglia (se già unito in matrimonio), nella seconda circostanza, sempre in di fronte ad un relazione in crisi, operando con lo scopo di trattenerlo a sé, o anche, come nella situazione da cui muove questo articolo, per “entrare in possesso” (costrizione al rapporto) dell’oggetto del proprio desiderio, in quanto con ciò si vuol generare un “legame a vita” pure in circostanza di rifiuto;
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voler dare appagamento ad un “bisogno biologico” (desiderio di maternità) o provvedere al dovere morale di mettere su famiglia. Come è chiaro, mentre il carattere di economicità dell’interesse desiderato è evidente nelle prime quattro ipotesi, nelle ultime due parrebbe (il condizionale è obbligatorio, come vedremo) di natura sostanzialmente morale.
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