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Un primo settore specifico inerisce le circostanze tanto semplici quanto già prima fattispecie che rientrano in uso patologico e distorto dei compiti (e degli istituti) che ineriscono l’amministratore.
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E’ l’ipotesi, per esempio, degli illeciti di ingiurie, minacce, diffamazione o calunnia compiuti dall’amministratore, per esempio, durante un’assemblea condominiale.
Quindi, in tal caso, l’amministratore è soggetto a responsabilità penale ugualmente come qualsiasi altra persona (e magari in concorso con altri soggetti condomini), eccetto un inasprimento della propria responsabilità, quando ricorrono le premesse della circostanza aggravante comune di cui all’art. 61 n° 11 c.p.
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Più articolata è la questione della responsabilità dell’amministratore nel caso in cui la responsabilità penale dei medesimi si reticoli con quella dei singoli soggetti condomini in fatti in cui sono coinvolte più persone: per esempio, se si può escludere, per difetto, da parte di chi scrive, l’aspetto soggettivo dell’illecito, la corresponsabilità ex art. 110 c.p. dell’amministratore che durante un’assemblea metta per iscritto delle ingiurie o delle minacce fatte da un soggetto condomino ad un altro, meno evidenti sono i confini della responsabilità dell’amministratore per diffamazione.
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Bisogna sottolineare che tanto il reato di ingiuria quanto la diffamazione vengono risolte nella lesione dell’onore e/o del decoro del soggetto offeso; la distinzione tra le due forme di reato sta, mentre, nel fatto che, se nella circostanza dell’ingiuria il soggetto offeso sussiste, nelle situazioni di diffamazione essa non sussiste, in quanto non può replicare come conseguenza alle offese; ciò motiva, nella visione del nostro ordinamento penale, un modello sanzionatorio più rigoroso.
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Dunque, in ambito di ingiuria, mentre, la disciplina giurisprudenziale si presenta di solito più rigida nei confronti dell’amministratore condominiale.
In tal senso, con una sentenza non isolata, viene considerato colpevole di diffamazione l’amministratore condominiale che aveva spedito una lettera a tutti i soggetti condomini, condannando, peraltro in maniera molto moderata, la morosità di un condomino.
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Minore precisione sussiste, mentre, sul fronte che considera l’amministratore condominiale soggetto offeso dell’illecito di diffamazione: adesso, il cosiddetto diritto di critica (e quello espletato dai soggetti condomini nei confronti dell’attività dell’amministratore è tale) fa solitamente, a meno che lo stesso non vada ad esprimersi nell’attacco gratuito e individuale, venire meno la responsabilità a livello penale di chi evidenzi nei confronti dell’amministratore, accertamenti pure fondamentali; in tal modo, attribuisce un esteso diritto di critica ai soggetti condomini la recente e dibattuta Cass., n° 31596/08.
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Pure nell’ultima circostanza, tuttavia, bisogna limitare il carattere scriminante del diritto di critica attribuito ai soggetti condomini nei confronti dell’amministratore: se, difatti, la succitata sentenza della Suprema Corte presenta come sola limitazione al diritto di critica il rispetto di attenersi al buon gusto e di astenersi dall’attacco individuale, un ulteriore giudizio prevede una difesa più precisa dell’onore e del decoro dell’amministratore sostenendo la responsabilità a livello penale del soggetto che al mandatario dei condomini faccia riferimento asserendo che questi, in base agli esiti della sua amministrazione, afferma il falso .
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Se, dunque, in base alle forme di reato suddette l’ipotesi che una persona possieda la qualifica di amministratore non si presenta come particolare trattamento giuridico impostato dal codice penale, differente è il problema inerente la tipologia di reato (art. 677, c. 3, c.p.) più specificamente connessa al ruolo del possessore dell’immobile o “…chi è al posto suo tenuto al mantenimento o al controllo del complesso condominiale…”.
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Si tenga presente che il senso letterale della prescrizione delimita la responsabilità di chi non sia possessore alla circostanza che questi sia “…tenuto…” al mantenimento o al controllo, rimanendo così fuori, per esempio, le circostanze di responsabilità imperniate sulla amministrazione di interessi altrui.
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Diversamente, la prescrizione di cui all’art. 677, c. 3, c.p., di concerto con il disposto dell’art. 40 cpv., prevede che la responsabilità penale presuma sempre un dovere giuridico di controllo, ora basato sul ruolo di proprietario dell’immobile, ora su un contratto tra lo stesso e chi cerca di gestire il medesimo.
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Quello di cui all’art. 677, c. 3, c.p. è, per cui, un illecito proprio ed omissivo (puro): può essere, difatti, inserito soltanto dall’agente che possieda una delle qualità prescritte dalla normativa di legge (proprietario o gestore) e soltanto con un comportamento che, corretta la condizione di equivalenza prevista dall’art. 40 cpv., rappresenti trasgressione di un particolare dovere (giuridico) di mettersi in moto.
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Tuttavia, state attenti: la presenza di un determinato dovere giuridico (c.d. posizione di tutela) è obbligatorio per determinare la responsabilità ex art. 677 c.p., ma ancora non basta: bisogna, inoltre, che il pericolo causato dalla malcuranza o dalla vetustà sia particolarmente grave (“…minacci rovina…”), considerando per di più la dottrina giurisprudenziale essenziale siffatto presupposto in maniera molto rigida.
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Ma vi è altro: la prescrizione di cui all’art. 677 c.p., all’interno dei criteri essenziali propri di tutti gli orientamenti anche quelli di tipo illuministico, stabilisce una difesa graduata in merito all’interesse giuridico leso o sottoposto a rischio da parte del comportamento di chi agisce: in questo modo, i primi due commi dell’art. 677 c.p., che prima della depenalizzazione stabilita dall’art. 52 D. Lgs. 507/99 prescrivevano già una moderata sanzione (“…non minore a lire duecentomila…”), successivamente alla riforma del 1999, se dall’evento non si determina pericolo per i soggetti è, attualmente, prescritta solo una ammenda amministrativa pecuniaria (senza, dunque, nessun effetto a livello di responsabilità penale) da Euro 154 ad Euro 929.
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