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La motivazione è inaccettabile. Il richiedente si limita ad affermare che il verdetto contestato non avrebbe valutato tutti i fattori della fattispecie, ma, in infrazione della norma di autonomia del ricorso per cassazione, non contiene nè riproduce la materia dei risultati del processo che la Corte territoriale non avrebbe esaminato o avrebbe letto in modo non corretto.
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E’ chiaro, dunque, che la motivazione di ricorso si risolve infine con l’istanza di una differente analisi di merito della causa e nella richiesta di contestare valutazioni di fatti e di risultati dimostrativi che sono incedibile attributo del magistrato del merito.
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Il ricorso è respinto. I costi del giudizio di cassazione, pagati come da disposizione, seguono la sconfitta.
Essendovi i prerequisiti di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, comma 2, (Codice in tema di tutela dei dati personali), a protezione dei diritti e del decoro dei soggetti implicati deve essere ordinata, in caso di diffusione di tale verdetto in qualsiasi modo, con scopi di notificazione giuridica su periodici giuridici, supporti telematici o tramite reti di comunicazione telematica, la non apposizione delle generalità e delle altre informazioni di identificazione dei soggetti coinvolti citati nel verdetto.
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Nella legittima difesa, adottata tramite l’uso di uno strumento a protezione della propria casa, la relazione proporzionale tra difesa e lesione è già predefinita dal legislatore che, nell' art. 52 del codice penale, comma 2 (immesso dalla L. n. 59 del 2006), ha indicato la previsione dell’esistenza del criterio dell’equilibrio tra lesione e difesa, se sia configurabile la trasgressione di domicilio da parte del violatore, ossia il concreto ingresso del soggetto nella residenza altrui, contro il volere della persona autorizzata a non ammetterne la presenza.
In questo caso, l'utilizzo dello strumento, nel caso in cui la medesima sia lecitamente reclusa, è considerato rapportato per legge, se teso a proteggere la propria o l'altrui integrità, ossia i beni personali o di altri, se non vi sia stata rinuncia da parte dell'assalitore, e vi sia stato un effettivo rischio di intimidazione fisica.
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E' quanto deliberato dalla Suprema Corte di Cassazione, in una sua assai recente pronuncia, con cui nell'accettare il ricorso avanzato da un cittadino, punito in I e II grado per il delitto di tentato omicidio compiuto per motivazioni futili, ha chiarito il principio giuridico alla luce del quale "..in presenza delle succitate circostanze, non è più rimandata al magistrato la valutazione sulla natura proporzionale tra difesa e lesione, essendo la relazione proporzionale esistente per legge, e questo vige sia in casi di legittima difesa oggettivamente esistente, sia in casi di legittima difesa putativa non colpevole."
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La circostanza posta al giudizio degli "ermellini" deriva da una vicenda di "accoltellamento" nei riguardi di una persona che era entrato opponendo forza nella casa di un soggetto a lui noto, accusandolo di essere entrato in possesso del suo decoder.
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L’accusato di reato di tentato omicidio, visto che si era impaurito, aveva cercato di difendersi dalla "violazione di domicilio" attuata a proprio scapito, prendendo un coltello con il quale aveva poi dato all’aggressore una coltellata all'emicostato sinistro, commettendo in questa maniera azioni realmente idonee a cagionarne il decesso.
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Per queste ragioni era stato considerato responsabile del suddetto reato e punito in I grado con l’arresto di anni cinque, condanna ,poi ridimensionata in appello a 4 mesi di arresto, con il beneficio della interruzione condizionale della condanna.
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Pure per la Corte di Appello non si presentavano, difatti, le premesse oggettive della legittima difesa, in quanto non vi era la dimostrazione che il soggetto leso volesse realmente mettere in atto un’aggressionecontro l'imputato, cagionandogli ferite; questi, tuttavia, in maniera legittima e senza colpa aveva pensato di operare in quanto presente il presupposto della legittima difesa, perché timoroso della propria integrità fisica successivamente alla violazione di domicilio.
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Però, non poteva sostenersi che l'imputato, anche se senza colpa convinto di operare in presenza di legittima difesa, si fosse opposto in maniera proporzionata al rischio che pensava si presentasse, in quanto l’aggressore non possedeva armi, e dalle testimonianze raccolte non si evidenziava il fatto che il litigio tra i due fosse di particolare violenza.
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