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La motivazione non ha alcun fondamento. Non si prevede la violazione delle normative di diritto, a cui fa riferimento il ricorrente.
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Va inoltre anche evidenziato che in ambito di risarcimento del danno a livello patrimoniale derivante da inadempienza, non risulta essere l’inadempienza in sé ad essere presupposto di risarcimento, ma il danno che ne deriva.
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Questo determina il fatto che bisogna dimostrare la sussistenza del pregiudizio denunciato e la diretta relazione causale derivante dall’inadempienza (Cass. 20/11/2007, n. 24140Cass. 15/05/2007, n. 11189; Cass. 10/01/2007, n. 238; Cass. 04/07/2006, n. 15274).
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Invece sul creditore della prestazione non pesa l’obbligo dell’accertamento dell’inadempienza, in quanto il debitore deve dimostrare in merito all’allegazione di inadempienza del creditore- che egli ha giustamente attuato, giusto quanto si ottiene dal modello dell'art. 1453 c.c. (Cass. S.u. n. 13533/2001), mentre l’accertamento del danno denunciato e della relazione causale tra il medesimo e l’inadempienza, così allegata, pesa sull'attore secondo i criteri generici di cui all'art. 2697 c.c..
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L'inadempienza dello specialista (inerente pure lo sbaglio o mancanza di diagnosi): in base alla proprio obbligo, e la relativa responsabilità della struttura all’interno della quale egli lavora, deve essere considerato in merito all’obbligo di diligenza principalmente qualificato che inerisce la conduzione della sua attività specialistica; in maniera tale che sia determinabile una relazione causale tra la sua condotta, pure omissiva, ed il danno patito da un soggetto nel caso in cui, mediante un principio di probabilità, si sostenga che l’azione dello specialista, se condotta in maniera tempestiva e corretta, avrebbe dato ragionevoli e precise opportunità che avrebbero schivato il danno che si è verificato (Cass. 23/09/2004, n. 19133).
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Nella tipologia in esame il giudizio impugnato ha sostenuto l’accertamento dell’inadempienza dell'Istituto Umanitas derivata dallo sbaglio istopatologico, e dunque della omessa diagnosi della neoplasia alle vie biliari, ma non ha ritenuto che siffatto sbaglio avesse comportato - sia anche in termini di probabilità - un danno alla persona, nel senso che l’evoluzione della neoplasia subita dalla paziente ed il seguente esito non furono pregiudicati, neanche dalla breve vita o nella qualità degenerata della medesima, dalla assenza di diagnosi precoce della patologia tumorale.
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Per arrivare a concludere in questo modo la corte di legittimità ha giustamente dato applicazione ai criteri in ambito di relazione causale da comportamento omissivo, stabiliti da questa Corte. Difatti l'inadempienza attribuita ai citati in giudizio è di tipo omissiva, in quanto inerisce nel non avere dato alla paziente una diagnosi di neoplasia delle vie biliari (includente quindi la diagnosi corretta).
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Allo scopo della causalità materiale la dottrina maggioritaria (Cass. Sez. Unite, 11/01/2008, n. 581, 576 ed altre), in attuazione dei criteri penali, di cui agli artt. 40 e 41 c.p., sostiene che un fatto è da ritenersi cagionato da un altro se, mantenendo stabili le altre situazioni, il primo non sarebbe accaduto senza la presenza del secondo (ed. tesi della condicio sine qua non), invece ad un secondo momento va evidenziata la norma dell'art. 1223 c.c., per cui il risarcimento deve includere le perdite "che siano effetto diretto e immediato" dell’evento lesivo (c.d.causalità giuridica), per cui precisamente si hanno dubbi sul fatto che la normativa faccia riferimento alla relazione causale e non piuttosto alla configurazione del livello quantitativo del risarcimento, valutando gli effetti nocivi soggetti a risarcimento.
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La rigidità del criterio dell'equivalenza delle cause, proposto dall'art. 41 c.p., per cui se la realizzazione di un fatto dannoso si può attribuire a più atti od omissioni, deve assegnarsi a ciascuna di esse efficienza causale, e trova suo fondamento nel criterio di causalità efficiente, rintracciabile nell'art. 41 c.p., comma 2, per il quale il fatto dannoso deve attribuirsi soltanto all’artefice del comportamento sopraggiunto, soltanto se siffatto comportamento sia tale da rendere insignificanti gli altri effetti sussistenti, andandosi a porre all’esterno delle normali linee di evoluzione della serie causale già sussistente (Cass. 19.12.2006, n. 27168; Cass. 8.9.2006, n. 19297; Cass. 10.3.2006, n. 5254; Cass. 15.1.1996, n. 268).
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Nel frattemponon basta soltanto tale nesso causale per configurare una causalità di rilievo giuridico, in quanto si deve dare importanza, all'interno delle circostanze causali così configurate, solo a quelle che, nel momento in cui si determina la circostanza causante non si presentino del tutto improbabili, ma che si manifestino come conseguenguenza non del tutto improbabile, attraverso il criterio della c.d. causalità idonea o quella analoga della ed. regolarità causale (ex multis: Cass. 1.3.2007; n. 4791; Cass. 6.7.2006, n. 15384; Cass. 27.9.2006, n. 21020; Cass. 3.12.2002, n. 17152; Cass. 10.5.2000 n. 5962).
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Nel danno da inadempienza omissiva il giudizio causale considera come prima circostanza il comportamento omissivo dovuto (Cass. n. 20328 del 2006; Cass. n. 21894 del 2004; Cass. n. 6516 del 2004; Cass. 22/10/2003, n. 15789).
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La causalità si può comunque provare tramite un ipotetico giudizio: l'attività supposta, ma omessa, avrebbe schivato un fatto del genere? In altre parole non può configurarsi la responsabilità per omissione quando la condotta omissiva, laddove pure fosse stata attuata, non avrebbe tuttavia schivato il fatto prospettato:
la responsabilità non si manifesta in quanto non vi è stata una condotta antigiuridica(l'omissione di una condotta dovuta è di per sé una condotta antigiuridica e nella responsabilità contrattuale l'inadempienza è condotta antigiuridica), ma in quanto quell'omissione non è motivo del danno denunciato.
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